È online la recensione di un articolo di Anthony Bateman, Consultant Psychistrist in Psychotherapy. L’autore propone un'interessante integrazione tra psicoterapia cognitiva e psicanalisi, soprattutto nelle tecniche di intervento, rivolgendo particolare attenzione al trattamento dei disturbi di personalità.
Già nel 1919, Freud raccomandava una combinazione di tecniche analitiche e comportamentali per i pazienti agorafobici (Freud, 1919). Un secolo dopo, secondo Bateman, questa integrazione sembra ancora non esistere, manifestandosi al più nell'alternanza di tecniche provenienti da entrambi gli approcci. L'autore riconosce che, tuttavia, nella pratica clinica esistono pratiche integrate, dovute alla flessibilità non manualistica e all'abilità degli psicoterapeuti, capaci di adattarsi alle esigenze dei propri clienti.
Secondo Bateman, le differenze teoriche tra i due approcci non vanno appiattite una sull'altra, alla ricerca di teorizzazioni comuni che potrebbero snaturare il senso delle teorie originarie. Al contrario, i punti di contatto tra le teorie vanno utilizzati nella pratica clinica per fornire un approccio più completo alla persona. Le differenze vanno, quindi, rispettate ed utilizzate.
L’integrazione nella pratica clinica è possibile grazie all’attenzione che ogni approccio, anche quelli più centrati sulla “psicologia del singolo”, pone alla relazione psicoterapeutica.
Ablon e Jones (1999), ad esempio, rilevarono che i pazienti che tendono ad idealizzare il proprio terapeuta, ottengono migliori risultati. Secondo alcuni autori (Blatt e al., 1997) i pazienti costruiscono nel terapeuta gli aspetti che sentono mancare in se stessi: attraverso l'interiorizzazione e l'identificazione creano nuovi contenuti per se stessi, o ancora, gli schemi interpersonali distorti vengono trasformati in rappresentazioni più realistiche di sé e degli altri.
Secondo Bateman, quindi, l'ingrediente chiave della terapia è la capacità del paziente di cominciare a vedere le cose in una nuova luce. Questa esperienza non è specifica di una modalità terapeutica, ma trasversale ai vari approcci.
Secondo l'autore, ciò che rende efficaci i trattamenti è la possibilità data al paziente di essere coinvolto in relazioni interpersonali ben strutturate, coerenti e in grado di fornire cure e attenzioni.
Ad esempio, il programma di terapia ambulatoriale e diurna (in day hospital) per il Disturbo di Personalità Borderline, descritto da Bateman in un precedente articolo (1997), combina interventi esplorativi e basati sul transfert ed interventi supportivi basati sullo sviluppo ed il mantenimento di una buona alleanza.
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Pubblicato il 12/06/2009 alle ore 07:00
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