Con l’approssimarsi della Pasqua, le uova di cioccolata colorano festose le botteghe ed i supermercati, tentando la gola e stuzzicando la curiosità con le sorprese in esse contenute.
Non sono solo i bambini, infatti, a lasciarsi intrigare dai regali celati dalle uova. Il mistero dell’oggetto da scoprire coinvolge anche i più grandi, lasciando spazio alla più breve delle emozioni: la sorpresa.
La sorpresa è generalmente ritenuta una delle emozioni fondamentali (Tomkins, 1962; Plutchick, 1962; Izard, 1972; Ekman, 1973). Si tratta quindi di un'emozione che (Ekman, 1992):
La sorpresa è l’emozione più breve. Se abbiamo il tempo di pensare a cosa sta accadendo, allora non siamo più sorpresi. Appena abbiamo il tempo di valutare l’evento, passiamo ad un'altra emozione, che può essere la gioia, l'imbarazzo, la felicità, la tristezza, la paura e via dicendo.
Come ogni emozione, la sorpresa ha una sua mimica peculiare (Russel e Fernández Dols, 1998):
Poiché l’esperienza della sorpresa è breve ed è seguita quasi sempre da un’altra emozione, il volto mostra spesso una miscela o un susseguirsi di due emozioni. Così, mentre qualcuno scoprirà il regalo nel proprio uovo di Pasqua, sarà possibile osservare le sopracciglia alzate (che segnalano la sorpresa) accompagnate dal sorriso (che segnala la gioia) o dagli angoli della bocca rivolti verso il basso (che segnala la delusione).
Saper riconoscere le emozioni degli altri permette di costruire e mantenere delle relazioni autentiche, basate sullo scambio e sul confronto. Si tratta di una competenza essenziale della capacità di convivenza, che permette di regolare il proprio comportamento tenendo conto di quello degli altri e di essere empatici.
Purtroppo la capacità di comprendere le emozioni altrui viene spesso sottovalutata e, generalmente, non viene insegnata in modo esplicito. Ad eccezione dei "professionisti del settore", come psicologi, psicoterapeuti e counsellor, sono pochi quelli che ricevono una formazione in tal senso. Eppure "la capacità di saper leggere e decodificare i segnali del volto di chi abbiamo di fronte, diminuisce il rischio di incomunicabilità e rende più efficace ed efficiente l’interazione, anche se limitata nel tempo: le facce parlano anche quando sono in silenzio o appaiono prive di espressività" (Giusti e Cadamuro, 2008, p. 40).
Pubblicato il 14/04/2011 alle ore 09:00
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