L'articolo ASPIC di questo mese, scritto da Silvia Serino, affronta la questione dello stress nel mondo del lavoro, con particolare riferimento alle professioni d'aiuto. Lo stress nel mondo del lavoro è un problema quanto mai attuale e serio, come si evince da una recente ricerca Istat del 2007 dal titolo “Competenze, attività e condizione lavorative delle professioni in Italia”.
Attraverso il modello dello stress lavorativo di Cooper e quello della domanda-controllo di Karasek e Theorell, l'articolo evidenzia le caratteristiche che rendono le helping profession un categoria particolarmente a rischio di stress.
“Aiutare e prendersi cura degli altri” è una delle professioni che ha maggiori costi in termini di benessere personale. Mucchielli (1983) individua alcune caratteristiche essenziali che deve possedere l’operatore per riuscire ad instaurare con il soggetto un’efficace relazione di aiuto: personalizzare l’aiuto, evitando di inquadrare la persona unicamente in una categoria diagnostica, lasciando libera espressione ai suoi vissuti problematici e riconoscendo il suo diritto di autodeterminazione, impegnarsi in modo autentico, riuscendo, però, a non farsi coinvolgere emotivamente in modo eccessivo e sgombrare la mente da facili giudizi, accettando il paziente nella sua realtà e dignità. Queste caratteristiche richieste al “professionista di aiuto”, rendono implicito il rischio di una massiccia e prolungata situazione di stress lavorativo, le cui principali conseguenze possono essere una ridotta produttività, il deterioramento delle relazioni con l’utenza e con i colleghi, e l’alterazione dell’equilibrio emotivo e fisico dell’operatore.
Per quanto riguarda i fattori insiti nelle helping profession che possono portare allo stress lavorativo, è significativo quello che affermano Rossati e Magro (1999), ovvero che la frustrazione dell’efficienza, della sensazione di “essere utili” e di avere “successo psicologico”, guide che orientano gli operatori impegnati in questi ambiti, contribuisce allo stress e all’esaurimento fisico e psicologico. Numerosi studi (Maslach e Jackson, 1982; Favretto, 1987) hanno studiato lo stress in relazione al contatto con pazienti “difficili”, che richiedono un considerevole dispendio di energia psicologica, sottolineando come alcuni reparti dell’ospedali, ad esempio il pronto soccorso, la terapia intensiva o oncologia, siano più a rischio di stress per gli operatori. Maggiore è la responsabilità che un professionista mette in atto nella sua relazione, più elevato è il rischio di essere coinvolto emotivamente nel disagio di cui l’utente è portatore (Freudenberger e Richelson,1980).
Lo studio dei fattori di personalità che incidono sullo stress da lavoro ha portato a risultati interessanti: è emerso che i soggetti più a rischio sono quelli sensibili, eccessivamente empatici, idealisti ed impegnati, che hanno aspettative irrealisticamente elevate rispetto all’aiuto che si può effettivamente fornire all’utenza (Kahill,1986). A tal proposito Giusti e Di Fazio (2008) sottolineano come alcune delle motivazioni inconsapevoli che spingono verso la professione dello psicoterapeuta possano diventare dei fattori di stress e portare ad insoddisfazione: alleviare il senso di colpa rispetto ad una situazione del passato in cui non si è riusciti a “salvare” una persona cara, soddisfare il bisogno narcisistico di essere “necessario”, gratificare i propri bisogni personali dietro un’apparente dedizione all’altro (Maeder, 1990).
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Pubblicato il 09/09/2010 alle ore 09:00
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