Cinematerapia con i preadolescenti

Marsick E. (2010). Cinematherapy with preadolescents experiencing parental divorce: a collective case study. The Arts in Psychotherapy 37, 311–318.

Recensione di Florinda Barbuto ed Alessia D'Acunti.

 

La cinematerapia può essere considerata un'estensione della biblioterapia. Si tratta di un approccio creativo alla terapia, in cui ai clienti viene assegnato il compito di guardare dei film relativi alle problematiche che stanno affrontando. I film possono essere visti autonomamente dal cliente tra due sedute oppure nel corso delle sedute e vengono poi discussi insieme allo psicoterapeuta.

I film possono essere usati per coinvolgere la fantasia durante la terapia, permettono la discussione di temi difficili diminuendo la resistenza, favoriscono l'espressione delle emozioni, aiutano i clienti a guardare i problemi da diverse angolazioni e forniscono modelli di ruoli o soluzioni alternative.

Emily Marsick (2010), della Lesley University, ha recentemente pubblicato un articolo sulla cinematerapia rivolta a preadolescenti che si trovano a vivere il divorzio dei loro genitori. Lo studio ha messo in luce le potenzialità della tecnica di favorire l'espressione e l'elaborazione dei sentimenti dolorosi, di promuovere la catarsi delle emozioni, in particolare quelle di rabbia e di tristezza e di sviluppare nuove competenze per affrontare la nuova situazione di vita.

La ricerca

La ricerca di Marsick è di tipo qualitativo ed  è basata su tre casi clinici, ognuno riguardante un intervento di 6 settimane di terapia individuale con tre ragazzi preadolescenti.

Ad ogni bambino sono stati mostrati dei film raccomandati dalla letteratura sulla cinematerapia per le problematiche legate al divorzio dei genitori (una lista d'esempio di film utilizzabili con i bambini può essere consultata sul sito del Zur Institute). Dopo la visione, sono state utilizzate delle domande per promuovere la discussione e ad ogni ragazzo è stata data l'opportunità di esprimersi attraverso delle attività espressive: arte, scrittura creativa, narrazione e teatro.

Per ogni bambino è stato predisposto un follow up ad una o due settimane. 

Dalla biblio- alla cinematerapia

La biblioterapia è stata già utilizzata per facilitare la comunicazione con i bambini sulle transizioni in famiglia, incluso il divorzio (ad es. Pardeck, 2005; Berns, 2003). È un intervento particolarmente utile per i preadolescenti, che possono sentirsi troppo grandi per la terapia con il gioco, ma possono non essere pronti per la terapia della parola (Pehrsson et al. 2007). 

Tuttavia, in linea con Bowen (2006), Emily Marsick ritiene i libri poco popolari tra i bambini e gli adolescenti, perché molti giovani clienti non sono abituati ad investire il tempo nella lettura e preferiscono la tecnologia, la televisione ed il cinema. La cinematerapia, quindi, può costituire uno strumento utile nel trattamento con i preadolescenti, ponendosi come un'estensione della biblioterapia (ad es. Sharp et al. 2002). 

Basi storiche della cinematerapia

Secondo Marsick, un primo riferimento all'uso terapeutico dei film può essere rintracciato in Moreno (1944), che parlò di un'estensione per il pubblico dello psicodramma: il film terapeutico (therapeutic motion picture). I film terapeutici, nell'idea di Moreno, sarebbero stati delle opere cinematografiche in grado di produrre catarsi e di aiutare il pubblico a capire meglio se stesso, seguite dalle spiegazioni da parte dello psicoterapeuta ed dalle discussioni del pubblico.

Attività espressive e cinematerapia

Nella letteratura clinico-scientifica, sono generalmente raccomandate delle attività espressive a seguito della biblioterapia per aiutare i partecipanti ad elaborare le risposte alla lettura e la discussione interattiva con lo psicoterapeuta (ad es. Berns, 2003).

Allo stesso modo, Hebert e Neumeister (2001, 2002) raccomandano delle attività creative per aiutare i bambini ad elaborare le risposte ai film, come collage, componimenti, giochi di ruolo, ideazioni di slogan, esercizi di problem solving o altre attività preferite dal cliente. Queste attività possono aiutare i bambini ad aumentare l'introspezione e, se fatte in un gruppo, sono in grado di fornire l'opportunità di sostenere e simpatizzare con l'altro.

Figli e divorzio

Le reazioni immediate dei bambini alla separazione e al divorzio dei genitori includono shock, paura e dolore (Wallerstein e Kelly, 1996). Dopo il divorzio, tutti i membri della famiglia sembrano passare attraverso un periodo di "funzionamento interrotto" (Hetherington, 1993). Nell'anno successivo i bambini possono mostrarsi più ansiosi, esigenti e aggressivi sia con gli adulti che con i loro coetanei, ma in genere questi comportamenti tendono a scomparire a partire dal secondo anno.

Il divorzio può comunque influire negativamente sul rendimento scolastico dei bambini, sul comportamento, sull'adattamento psicologico, sull'autostima, sulle relazioni sociali e sulle relazioni con i genitori (Amato e Keith, 1991). Gli interventi psicoterapeutici possono essere un fattore protettivo per i bambini e aiutare nell'autoregolazione (Amato, 2000).

Risultati

Marsick ha considerato 10 diverse aree in cui la cinematerapia con i preadolescenti ha promosso e favorito modificazioni e cambiamenti.

Riconoscere le emozioni

Nella discussioni seguenti alle proiezioni terapeutiche, i bambini hanno avuto la possibilità di leggere e riconoscere il linguaggio del corpo e le espressione facciali dei personaggi che avevano osservato. L'utilizzo di film all'interno della terapia si è mostrato utile per lo sviluppo dell'intelligenza socio-emozionale, aiutando i bambini ad identificare ed esprimere le emozioni ed a sviluppare l'empatia.

Identificazione

Secondo Berns (2003), quando si parla in modo diretto i bambini hanno difficoltà ad esprimere i pensieri ed i sentimenti relativi ad una perdita, mentre sono più capaci di condividerli quando possono identificarsi con un personaggio e comunicare attraverso di esso. Questo stesso meccanismo è stato osservato anche da Marsick, secondo cui osservare dei personaggi della propria età che esprimono le loro emozioni potrebbe aver normalizzato i sentimenti dei bambini, rendendo più facile il condividerli.

Proiezione

I pensieri proiettati dai piccoli clienti e attribuiti ai personaggi hanno fornito allo psicoterapeuta delle informazioni su quali potevano essere le loro paure e le loro preoccupazioni. Secondo Marsick, questo meccanismo ha creato l'opportunità per il clinico di discutere le preoccupazioni dei bambini all'interno della metafora della storia e dei suoi personaggi, aumentando la probabilità di poter integrare le nuove comprensioni e aggirando le resistenze.

Visione interattiva

Un nuovo concetto che emergere dallo studio, secondo Marsick, è quello di visione interattiva, che riguarda il modo in cui i bambini guardano e interagiscono con e durante il film. La visione interattiva nella cinematerapia è definita dall'autrice come l'interazione che ha il soggetto con il film e con il terapeuta (o eventualmente con il genitore) durante la proiezione, mentre racconta storie o commenta, condivide pensieri e risposte emotive o si esprime attraverso altre modalità.

Secondo Marsick è possibile che per il bambino sia più facile parlare delle proprie preoccupazioni con il terapeuta o con il genitore quando entrambi sono rivolti verso lo schermo a guardare il film. Questa posizione potrebbe fornire contemporaneamente una distanza e una situazione di condivisione sufficiente per la sicurezza emotiva del bambino*.

Maggiore condivisione

Molti bambini hanno difficoltà a verbalizzare le loro paure ed loro i sentimenti di tristezza (Christie e McGrath, 1987). Un film può essere un catalizzatore nella terapia, consentendo ai clienti di discutere di argomenti che altrimenti potrebbero metterli a disagio (Wedding e Niemiec, 2003). 

Quando un bambino non è in grado di discutere le esperienze difficili di perdita, i film possono aiutarlo ad esprimersi (Tyson et al., 2000).

Generalizzazione: un ponte tra terapia e vita quotidiana

Un potenziale beneficio della cinematerapia è che i film possono essere assegnati come compito e guardati a casa insieme ad altri membri della famiglia. Guardare il film insieme ai genitori e agli altri componenti della famiglia può aumentata la comunicazione e l'influenza terapeutica sul sistema familiare (Calisch, 2001). 

Inoltre, i film mostrati in terapia, essendo accessibili al grande pubblico, possono diventare una connessione tra ciò che accade nello studio e ciò che accade a casa, perché se ne può parlare con gli altri, se ne possono condividere le impressioni e si possono costruire insieme nuovi significati.

Attività espressive di risposta

A sottolineare le differenze individuali, alcuni partecipanti si sono coinvolti attivamente nel produrre delle risposte al film attraverso attività espressive, mentre altri hanno preferito parlarne.

Catarsi

È stato ipotizzato che durante le fasi di catarsi nella cinematerapia i clienti esperiscono risposte empatiche o emotive simili a quelle dei personaggi (Hebert e Neumeister, 2001, 2002).

Secondo Marsick, nel suo studio la catarsi si è verificata soprattutto attraverso le risposte e le attività espressive, in particolare per quanto riguarda i sentimenti di rabbia e tristezza.

Metafore

I film sono in grado di creare delle metafore terapeutiche che possono rappresentare indirettamente il dilemma di un cliente, a volte andando oltre il materiale conscio (ad es. Sharp et al, 2002).

Nello studio di Marsick, le risposte espressive dei clienti hanno spesso ampliato le metafore contenute nei film, in modo da poter continuare l'elaborazione delle questioni più rilevanti.

Maggiore capacità di identificare e di usare le abilità di coping

Gladding e Gladding (1991) hanno ipotizzato che i bambini possono identificarsi con i personaggi dei libri e servirsene come modelli per gestire le situazioni difficili. Secondo Marsick, i film possono produrre gli stessi effetti: le scene possono essere interiorizzate dai bambini e fornirgli delle importanti risorse per le loro strategie di coping. 

Auto-selezione: la condivisione di storie significative

In risposta agli stimoli significativi offerti dai film, i piccoli clienti introducevano spesso degli elementi esterni, condividendo altre scene di film che avevano visto al di fuori della terapia, chiedendo di rivedere alcuni spezzoni o raccontando delle storie. Secondo Hunt (2006), i bambini hanno la capacità di selezionare le storie utili a favorire i loro processi di guarigione, quelle che gli permettono di lavorare su temi dolorosi da una distanza di sicurezza. Per questa caratteristica, l'autore ha proposto il termine di auto-selezione.

L'auto-selezione può consentire ad un bambino di lavorare sulle proprie esperienze personali selezionando o descrivendo una scena o una trama in un contesto terapeutico, conducendo ad una esperienza emotiva correttiva. 

Conclusioni

Attraverso la visione di film in terapia, sostiene Marsick, sono stati aiutati tre figli preadolescenti ad esprimere i loro sentimenti profondi, a vivere un'esperienza catartica delle emozioni di rabbia e tristezza e a sviluppare nuove capacità di coping per affrontare il divorzio dei genitori.

Secondo l'autrice la cinematerapia si è rivelata uno strumento molto utile nella terapia, che mostra degli spunti interessanti per la ricerca futura.

 

* Un tema simile è trattato nell'articolo Video Games in Psychotherapy di Tolga Atilla Ceranoglu (2010) (NdR).

Bibliografia

Amato, P. R. (2000). The consequences of divorce for adults and children. Journal of Marriage & Family, 62(4), 1269–1287.

Amato, P., & Keith, B. (1991). Parental divorce and the well-being of children: A meta-analysis. Psychological Bulletin, 110(1), 26–46.

Berns, C. F. (2003). Bibliotherapy: Using books to help bereaved children. Omega: Journal of Death and Dying, 48(4), 321–336.

Bowen, E. E. (2006). The power of film: A model for the use of group cinematherapy in the therapeutic treatment of clinically depressed adolescents. M.A. dissertation, University of NewHampshire, United States. ProQuest Digital Dissertations database. Accessed 08.03.08.

Calisch, A. (2001). From reel to real: Use of video as a therapeutic tool. Afterimage, 29(3), 22.

Christie, M., & McGrath, M. (1987). Taking up the challenge of grief: Film as therapeutic metaphor and action ritual. Australian and New Zealand Journal of Family Therapy, 8(4), 193–199.

Gladding, S. T.,&Gladding, C. (1991). The ABCs of bibliotherapy for school counselors. School Counselor, 39(1), 7–12.

Hebert, T. P., & Neumeister, K. L. (2001). Guided viewing of film: A strategy for counseling gifted teenagers. Journal of Secondary Gifted Education, 12(4), 224

Hebert, T. P., & Neumeister, K. L. (2002). Fostering the social and emotional development of gifted children through guided viewing of film. Roeper Review, 25(1), 17.

Hetherington, E. (1993). An overview of the Virginia Longitudinal Study of Divorce and Remarriage with a focus on early adolescence. Journal of Family Psychology, 7(1), 39–56.

Hunt, K. (2006). Do you know Harry Potter? Well, he is an orphan’: Every bereaved child matters. Pastoral Care in Education, 24(2), 39–44.

Moreno, J. L. (1944). Psychodrama and therapeutic motion pictures. Sociometry, 7(2), 230–244.

Pardeck, J. T. (2005). Using bibliotherapy in family health social work practice with children of divorce. In F. K. Yuen (Ed.), Social work practice with children and families: A family health approach (pp. 45–56). Binghamton, NY: Haworth Press.

Pehrsson, D., Allen, V., Folger, W.,McMillen, P., & Lowe, I. (2007). Bibliotherapy with preadolescents experiencing divorce. Family Journal, 15(4), 409–414.

Sharp, C., Smith, J. V., & Cole, A. (2002). Cinematherapy: Metaphorically promoting therapeutic change. Counselling Psychology Quarterly, 15(3), 269–276.

Tyson, L., Foster, L., & Jones, C. (2000). The process of cinematherapy as a therapeutic intervention. Alabama Counseling Journal, 26(1), 35–41.

Wallerstein, J., & Kelly, J. (1996). Surviving the breakup: How children and parents cope with divorce. New York: Harper Collins.

Wedding, D., & Niemiec, R. M. (2003). The clinical use of films in psychotherapy. Journal of Clinical Psychology, 59(2), 207–215.

Pubblicato il 20/06/2011 alle ore 19:04

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