Balmforth J. (2009). ‘The weight of class’: clients’ experiences of how perceived differences in social class between counsellor and client affect the therapeutic relationship. British Journal of Guidance & Counselling, 37(3), 375-386.
Recensione a cura di Florinda Barbuto e Alessia D'Acunti.
L'impatto della differenza di classe sociale nella relazione terapeutica ha ricevuto scarsa attenzione rispetto ad differenze tra consulente e cliente, come il genere, l'appartenenza etnica e l’orientamento sessuale. In un recente studio, Jane Balmforth della University of Strathclyde (Glasgow) ha presentato una ricerca qualitativa su questo aspetto della relazione. Fornendo interessanti implicazioni per la pratica clinica, come l'importanza per terapeuti, supervisori e formatori di esplorare il proprio background socioculturale, i risultati dimostrano che la consulenza non si sviluppa in un vuoto ideologico.
La consapevolezza e la considerazione delle differenze di genere, dell’orientamento sessuale e dell’appartenenza etnica sono ormai incluse nella maggior parte dei corsi di formazione in psicologia (Kearney, 1996), ma la differenza di classe non è di solito contemplata (Gillon, 2002). Eppure sembrerebbe logico pensare che una variabile di questo tipo possa influenzare la relazione terapeutica.
Negli ultimi anni il concetto di classe sociale sembra essere poco di moda e in qualche modo politicamente scorretto. Tuttavia, osserva Balmforth, nonostante oggi si tenda a pensare la società occidentale come priva di classi, la classe sociale ha ancora un impatto enorme sulla vita delle persone. Essa determina in larga parte la nostra educazione, l'occupazione, la salute mentale e fisica (Adonis e Pollard, 1997; Argyle, 1994; Isaac, 2006; Pilgrim, 1997).
Per quanto riguarda il benessere psicologico, è stato già rilevato che i membri delle classi popolari hanno più probabilità di essere diagnosticati come affetti da qualche malattia mentale di quelli appartenenti alle classi medie (Bromley, 1983; Joseph Rowntree Foundation, 2007; Pilgrim, 1997). Tuttavia, sostiene Balmforth, una persona della classe operaia ha meno probabilità di accedere al counselling e alla psicoterapia.
L'articolo di Jane Balmforth è teso a dar voce all'esperienza dei clienti, indagando il vissuto di sette terapeuti, facendo riferimento alla loro terapia personale realizzata durante la formazione.
A ciascun soggetto è stato chiesto di definire la propria classe sociale e quella del proprio psicoterapeuta. Attraverso l’intervista, la ricercatrice ha cercato di comprendere se i soggetti avessero mai avuto la sensazione che la differenza di classe sociale con il proprio terapeuta avesse influito sulla relazione terapeutica.
Tra gli intervistati, sei si sono definiti come appartenenti alla classe operaia ed hanno identificato il loro terapeuta come appartenente al ceto medio, mentre una persona si è definita come appartenente al ceto medio ed ha identificato la sua terapeuta come appartenente alla classe operaia. Secondo l'autrice, questa disparità riflette una situazione reale in cui la maggior parte dei terapeuti proviene da un ceto medio (Gillon, 2002; Kearney, 2003; Lago and Smith, 2003).
Le analisi effettuate sulle interviste si sono centrate su tre temi principali:
Gli intervistati che si sono identificati nella classe operaia hanno riferito di sentirsi deboli e a disagio a causa della differenza di classe sociale con il terapeuta. Qualcuno ha aggiunto di aver provato vergogna per il proprio background. Al contrario la cliente del ceto medio ha riferito di sentirsi più capace di gestire la conversazione e la situazione rispetto alla propria terapeuta.
I clienti della classe operaia hanno riferito di essersi sentiti incompresi dai loro terapeuti, che non sono riusciti a condividere il punto di vista del paziente. La differenza di ceto sembra aver portato ad una diminuzione dell'empatia e aver influenzato l'alleanza terapeutica. Anche la cliente del ceto medio ha riferito di aver avuto delle difficoltà nel rapportarsi con una psicoterapeuta con un diverso background, ma non ha identificato questa differenza come un punto di debolezza.
Gli intervistati appartenenti alla classe operaia hanno connesso la percezione di una differente distribuzione del potere all'interno della relazione alla mancanza di connessione psicologica con il terapeuta. La cliente identificatasi nel ceto medio, invece, ha riferito di aver sentito la terapeuta come calda e accudente, anche se ha riconosciuto uno sforzo maggiore del clinico per via delle differenze nelle esperienze di vita.
Come nota Jane Balmforth, tutti gli intervistati della classe operaia hanno percepito negativamente la differenza sociale. Lo squilibrio di potere è stato alla base dell'esperienza di questi clienti, anche quando è stato espresso apertamente nella relazione. Da parte loro, la differenza è stata individuata maggiormente nella capacità dei clinici di comprendere le diverse esperienze di vita, le diverse possibilità di accesso alle opportunità e l'influenza delle restrizioni economiche sulle scelte di vita. Secondo l'autrice, le disuguaglianze sociali percepite all'esterno del setting sono state riprodotte all'interno della relazione terapeutica. Gli intervistati, quindi, sentivano i loro terapeuti arroccati sulle loro cornici di riferimento, incapaci di immaginare altri modi di essere e comunicare.
La cliente che si è identificata nel ceto medio, invece, non ha trovato di particolare rilevanza la differenza di classe con la propria terapeuta.
Lo studio di Jane Balmforth, come lei stessa evidenzia, è limitato ad un piccolo campione, che, tra l'altro, è composto da psicoterapeuti in formazione. Malgrado questi limiti, questa ricerca ha il merito di portare all'attenzione dei clinici una questione interessante e finora poco indagata. L'autrice suggerisce ai counsellor e ai terapeuti di riflettere sulla propria estrazione socioeconomica e culturale e di considerare come questa influisca sulle relazioni con i loro clienti. Per uscire dalla riproduzione delle ineguaglianze esperite all'esterno della relazione terapeutica, può essere utile per i clinici cominciare a costruire una consapevolezza delle differenze sociali. È importante che la formazione professionale insegni anche a riconoscere l'esistenza di diversi livelli di accessibilità delle risorse e delle opportunità. Non avere consapevolezza del "peso" della classe sociale può impedire alla relazione terapeutica di accrescere l'empowerment del cliente e favorire la riproposizione di vecchi schemi di potere-impotenza.
Adonis, A., & Pollard, S. (1997). A class act: The myth of Britain’s classless society. London: Hamish Hamilton.
Argyle, M. (1994). The psychology of social class. London: Routledge.
Bromley, E. (1983). Social class issues in psychotherapy. In D. Pilgrim (Ed.), Psychology and psychotherapy: Current trends and issues (pp. 204-227). London: Routledge & Kegan Paul.
Gillon, E. (2002). Counselling training and social exclusion. Counselling and Psychotherapy Journal, 13, 24-27.
Isaac, M. (2006). Class dynamics, counselling and psychotherapy. In S. Wheeler (Ed.), Difference and diversity in counselling: Contemporary psychodynamic perspectives (pp. 156-170). Basingstoke: Palgrave.
Joseph Rowntree Foundation/New Policy Institute. (2007). Poverty indicators. Retrieved June 25, 2008, from http://www.poverty.org.uk/summary/key%20facts.shtml
Kearney, A. (1996). Counselling, class and politics - Undeclared influences in therapy. Manchester: PCCS Books.
Lago, C., & Smith, B. (Eds.). (2003). Anti-discriminatory counselling practice. London: Sage.
Pilgrim, D. (1997). Psychotherapy and society. London: Sage.
Pubblicato il 09/07/2010 alle ore 15:40
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