Abstract: Il termine inclusione dal lat. Inclusiononis, fa riferimento all’atto, il fatto di includere, cioè di inserire, di comprendere in una serie, in un tutto. Parole come inclusione, valorizzazione della diversità e riconoscimento dell’altro, sono termini fondamentali per alcune categorie professionali, insegnanti di sostegno, pedagogisti etc. Ma cosa risponderebbero questi specialisti alle mamme in Argentina che il 5 settembre di quest’anno hanno gioito per l’esclusione di un bimbo autistico dalla scuola? Cosa spinge questi ed altri genitori a non accettare la differenza?
Keywords: inclusione, stereotipo, categorizzazioni, giudizi e identità sociale.
“¡Al fin una buenísima noticia! ¡Era hora de que se hagan valer los derechos del niño para 35 y no para uno solo!” “- Qué bueno para los chicos! Que puedan trabajar y estar tranquilos” “- Un alivio para los nuestros.“ (Fonte: El Paìs)
Queste le parole pronunciate da alcune madri di una scuola religiosa San Antonio di Padova in Argentina. Esprimono sollievo e gioia per l’espulsione di un bambino con sindrome di Asperger dalla classe dei loro figli. Per vari mesi hanno minacciato l’istituzione di non far assistere i propri figli alle lezioni, così la scuola ha ceduto e ha cambiato d’aula il bambino.
Un rapido sguardo intorno a noi e a ciò che ci circonda, ci mostra un mondo ricchissimo di sfumature e differenze. Siamo immersi in un contesto sociale, costituito da intrecci di relazioni con persone differenti, però le relazioni umane sono processi complessi e in molti casi ci si avvale come individui della possibilità di “scegliere” chi includere e chi escludere.
Le relazioni con soggetti diversi da noi non farebbero altro che arricchire la nostra personalità e ampliare la nostra visione del mondo. Ma allora perché molti individui rifiutano chi è diverso?
Cerchiamo di dare una spiegazione partendo dal concetto di stereotipo, così come l’ha definito Lippmann, giornalista e politologo statunitense, appassionato di scienze sociali.
Lippmann intorno al 1920, identificò il termine stereotipo, ossia una visione distorta e semplificata della realtà sociale, formata da immagini mentali che vengono usate dagli individui per poter semplificare la realtà e per poterla comprendere.
Ma cerchiamo di capire meglio! Per stereotipo si intende “una rappresentazione ordinata più o meno consistente del mondo, alla quale si sono adattati i nostri modi di essere, i nostri gusti, capacità, comodità e speranze. Possono non rappresentare un’immagine completa del mondo, ma sono l’immagine di un mondo possibile al quale siamo adattati. In quel mondo le cose e le persone hanno il loro posto fisso e fanno certe cose che sono attese. In esso ci troviamo a casa”. (Lippman, 1922 trad. it. 1999, pag.95).
Secondo Lipmman la realtà non si può conoscere in quanto tale, ma solo attraverso l’utilizzo degli stereotipi che ci aiutano a decrifrare l’ambiente e che ci guidano nella costruzione delle conoscenze del mondo.
La lettura e la costruzione delle nostre conoscenze avviene grazie ad un processo di categorizzazione e di valutazione. Categorizzare il mondo e le persone significa in un certo senso incasellarle in griglie e determina le nostre scelte nelle relazioni.
Scegliamo e valutiamo in base a ciò che riteniamo affine a noi e attribuiamo una connotazione negativa a ciò che riteniamo diverso o che non conosciamo!
Ma bisogna considerare un altro concetto importante, preso in prestito dalla psicologia sociale, quello d’identità sociale.
Se prendiamo in esame il termine di identità, questa si struttura in due componenti: quella soggettiva, relativa alla propria essenza fatta di esperienze personali e caratteri peculiari della propria specificità, e quella sociale, proveniente, invece, dalle appartenenze sociali.
Secondo Tajfel (1979), il teorico dell’identità sociale, il costrutto deriva dalla consapevolezza di appartenere ad un gruppo sociale (o a gruppi sociali), unitamente al significato emotivo associato a tale appartenenza.
Tajfel afferma che gli individui cercano di mantenere e raggiungere un’immagine positiva di se stessi in relazione all’appartenenza ad un determinato gruppo.
L’appartenenza avviene a tre livelli:
Proiettiamo nel nostro gruppo di appartenenza alcune caratteristiche che ci appartengono o che vorremmo che ci appartenessero.
Questa teoria contribuisce a spiegare come la categoria a cui appartiene un certo individuo legittima l’accettazione di alcune caratteristiche di sé. Interesse dell’individuo sarà mantenere un’immagine positiva di sé e per questo cercherà di appartenere a gruppi sociali valutati in maniera positiva. Ecco allora come esiste una moltitudine di gruppi che si contrappongono di loro e che cercano di difendere il mio dal tuo e il noi dal voi/loro.
L’attivazione di questi stereotipi negativi deriva dal voler mantenere un’immagine positiva di sé e fornisce una giustificazione alla discriminazione di alcuni gruppi o persone percepite diverse. In questa direzione gli stereotipi fungono da criteri volti a legittimare le differenze fra individui.
La diversità rappresenta una sfida che richiede ancora tanto lavoro da parte delle istituzioni educative che dovrebbero tutelare tutti gli alunni e non permettere il rafforzamento di stereotipi basati su attribuzioni e valutazioni negative.
Angela Santoro, classe 1984, psicologa del benessere nel corso di vita presso la Sapienza di Roma e abilitata all’esercizio della professione, sta svolgendo attualmente una specializzazione sui Disturbi specifici dell’apprendimento. Dopo aver conseguito la laurea ha iniziato ad occuparsi di progetti nell’ambito sociale ed educativo. Da vari anni risiede in SudAmerica dove ha lavorato per Ong locali, svolgendo varie attività come progettista, fundraiser, formatrice di gruppi tecnici e psicologa di comunità. Attualmente risiede in Perù, nella città di Lima, dove lavora come Responsabile del Servizio di Inclusione Sociale presso una scuola.
Pubblicato il 11/10/2017 alle ore 11:14
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