Persona e disabilità

Riflessioni, al di là delle classificazioni

di Gilda Di Nardo ed Emanuela Marini

Abstract: l’infinita diversità delle origini e delle situazioni disabilitanti (innate o acquisite, intellettuali o motorie, psichiche, sensoriali, ecc.) deve farci considerare che non si possono riunire in modo confuso dei soggetti molto diversi tra loro, facendo di una loro caratteristica un’identità globale. La psicologia  può dare il suo contributo per promuovere una sorta di ristrutturazione dell’immaginario collettivo, che vada di pari passo ad una ristrutturazione del sistema sociale sempre più a favore delle persone e non delle categorie.

Keywords: Persona, Disabilità, Psicologia.

 

“In sostanza respingo deliberatamente la nostra presente, e troppo facile, distinzione tra malattia e salute, almeno per quanto riguarda i sintomi superficiali. Essere ammalati significa forse accusare sintomi? Ebbene, sostengo che la malattia può consistere nel non accusare alcun sintomo quando dovrei accusarlo. E la salute, significa esser privi di sintomi? Lo nego. Quale dei nazisti ad Auschwitz o a Dachau era in buona salute? Quelli con la coscienza tormentata, o quelli la cui coscienza appariva loro chiara, limpida serena? In quella condizione, una persona profondamente umana era possibile non avvertisse conflitto, sofferenza, depressione, furia e così via? In una parola, se mi direte di avere un problema di personalità, prima di avervi conosciuto meglio non sarò affatto certo se dovrò dirvi ‘bene!’ oppure ‘mi dispiace’” (Maslow, 1973).

Premessa

Il concetto di disabilità è sicuramente  ampio, le definizioni dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) nell’ICIDH (International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps) e nel successivo ICF del 2001 (International Classifation of Functioning, Disability and Health), ci forniscono adeguate categorie per accostarci ad esso. In questo articolo ci proponiamo però di stare al di là delle classificazioni; a tratti, inevitabilmente, useremo alcuni termini in maniera impropria e sorvoleremo su tematiche che, pur ovviamente connesse al tema della disabilità (integrazione, inclusione, ecc.) richiederebbero spazi più ampi di trattazione. Tradizionalmente, nel panorama europeo ma soprattutto in quello italiano, il confronto attorno al concetto di disabilità e quindi anche dell’integrazione, è avvenuto essenzialmente tra modelli di tipo causale (ad es. medico, sociale, bio-psicosociale) tendenti ad indagare la disabilità secondo uno schema di tipo causalista e modelli di tipo istituzionale. La psicologia e la psicoterapia, si sono spesso interessate alla disabilità,  poco sul versante della sensibilizzazione e dell’informazione e molto di più su quello del trattamento e della valutazione; anche in un articolo abbastanza recente di Sturmey (2005), ritroviamo ad esempio l’autore impegnato ad affermare l’importanza delle terapie comportamentali per persone con ritardo mentale, sostenendo che di scarsa efficacia può invece essere la psicoterapia, o che per lo meno non esistano studi validi in tal senso; in particolar modo Sturmey fa riferimento ad alcune ricerche di Lynch (2004) e alle precedenti meta-analisi di Prout e Nowak-Drabik (2003), che secondo Sturmey hanno solo potuto stabilire che la psicoterapia possa essere vagamente valida ma non decisamente utile come appunto le terapie comportamentali.

Una prospettiva antropologica

La psicologia si è spesso addentrata in questo genere di dibattiti e si è inoltre soffermata sulla standardizzazione e messa a punto di strumenti di valutazione e interventi di riabilitazione. Ai giorni nostri, crediamo possibile e necessario che ci si impegni maggiormente in approfondimenti che permettano informazione e sensibilizzazione  e indaghino non solo gli aspetti della disabilità e le possibilità di intervento, ma anche il rapporto che le persone non disabili hanno con la diversità /disabilità, il loro grado di informazione e l’immaginario. A riguardo, esistono molti contributi di stampo sociologico e antropologico. Secondo Gardou (2006), la disabilità è un misto di unitarietà e contraddittorietà: la sua presenza è un segno evidente di un vai e vieni, tra la “norma” e il “fuori norma”, l’equilibrio e il disequilibrio, la salute e la malattia, e confonde i nostri riferimenti mimetici, le nostre visioni standardizzate, le nostre certezze. Conoscendo quanto sia incerto il termine disabilità, così come l’infinita diversità delle origini e delle situazioni disabilitanti (innata o acquisite, intellettuali o motorie, psichiche, sensoriali, ecc.) non possiamo riunire in modo confuso dei soggetti molto diversi tra loro, facendo di una loro caratteristica un’identità globale.  La diversità, la disabilità, risvegliano delle reazioni, comportano dei vissuti per la persona che non vive la disabilità ma che con essa si confronta.

Le ricerche ed una nostra breve indagine

Uno studio condotto dal francese Mercier (1996, in Meneghini, Valtellina, 2006) mette in evidenzia i diversi modi di vedere le persone con disabilità; in tale ricerca si evidenzia che la disabilità fisica veicola un’immagine di volontà e di voglia di adattamento, mentre le altre tipologie di disabilità rimandano l’idea di chiusura intellettiva, di incapacità di inserirsi nella vita sociale e diventare autonomi; esistono anche altri studi di questo genere, una costante che sembra emergere è quella dell’identificare l’immagine della disabilità con una carrozzella. Anche noi, solo a livello esplorativo, abbiamo voluto cimentarci in un’indagine similare. Abbiamo utilizzato un questionario di 23 domande con l’obiettivo di far luce sulle conoscenze, gli atteggiamenti e l’immaginario sulla disabilità. Il nostro campione è stato costituito da 42 persone, un 50% donne, e il restante 50% uomini; l’età media dei componenti del campione è stata di 35 anni, la popolazione proveniente prevalentemente dal centro Italia con un livello di istruzione medio alto. Un primo dato rilevante che abbiamo riscontrato è che esiste una percentuale abbastanza alta (23%) di persone che ha ritenuto che la disabilità sia una condizione derivante da cause esclusivamente organiche (pur avendo la possibilità di indicare l’opzione: “la disabilità è riconducibile a cause fisiche e/o psicologiche”). Anche nella nostra breve indagine il 75% del campione ha associato all’idea di disabilità quella di una persona sulla sedia a rotelle. La maggior parte delle persone (52.4%) ha dichiarato che l’emozione dominante nell’interazione con una persona con disabilità è la tranquillità, seguita dal disagio per il 35.7% e dalla compassione per il 23.8%; nella risposta successiva il 24.4% ha però dichiarato, che spesso si sente in difficoltà nell’interazione con persone con disabilità ed il 43.9% di loro si trova qualche volta in difficoltà. Il campione ha indicato come una delle cause principali della mancata integrazione sociale per le persone con disabilità la presenza di disagio e di paura nella gente; questo dato ci pare in contrasto con il fatto che nessuno ha tuttavia dichiarato di provare paura nell’interazione con persone con disabilità. Anche se, a parere del 76% del campione, educare la persona disabile alla sessualità viene considerato importante come per le persone non disabili e nel 24% dei casi è più importante, tuttavia la maggior parte di loro (57%) ritiene che la sessualità sia, per le persone disabili, una realtà che forse non potranno mai vivere pienamente, per il 40.5% la sessualità è un diritto. Il sostegno psicologico è considerato molto importante per la persona disabile ed anche per la famiglia. Per conoscere meglio l’immaginario sulla disabilità abbiamo utilizzato anche 10 interviste dalle quali sono emersi due atteggiamenti principali: quello di normalizzazione e quello di negazione (anche se spesso con atteggiamento accettante). Riportiamo alcune frasi che ci sembrano essere maggiormente rappresentative di alcuni atteggiamenti emersi nella nostra ricerca: A) normalizzante, B) rifiuto ed uso di immagini stereotipate C) difficoltà/mettere a distanza D) riconoscere la disabilità:

A) “ Forse pian piano tutte le cose strane diventano anch’esse normali, alla fine basta abituarsi”; “lui si che è diverso, in positivo, dopo tutto, quello che ha... è fantastico”;

B) “Il fatto è che secondo me non esiste davvero la diversità”; “è educatissimo e si comporta in modo strano, sembra quasi un piccolo robot  computerizzato”;

C)  “L’impatto con la sofferenza mi crea davvero un problema, mi porta ad evitare il discorso”;    

D) “La disabilità è una condizione. Non mi piace pensare che sia una caratteristica che pervade la personalità”.

Al termine dell’intervista abbiamo chiesto quale fosse la prima immagine che veniva in mente agli intervistati in relazione alla parola disabilità; oltre alla più volte citata sedie a rotelle, le immagini principali emerse sono state: gli atleti disabili, una persona su una carrozzella in un parco, una persona paraplegica, un ragazzo che si alza dalla sedia a rotelle e corre sulla spiaggia, una canzone, immagini di persone con disabilità realmente conosciute, un girotondo fra persone diversissime fra loro. Ci piace agganciarci a quest’ultima immagine per rivolgere un invito a tutti coloro che operano nel settore della salute e della psicologia a che si sviluppi una maggiore attenzione verso programmi di informazione e sensibilizzazione sulla disabilità; l’attenzione non va posta solo sulla persona con disabilità, o come già detto  sulla standardizzazione di strumenti di valutazione e di trattamenti, ma è necessario guardare anche al di là della disabilità, nel contesto sociale, nell’immaginario collettivo. Forse la psicologia e gli esperti del settore, così presente in tv e nei giornali, potrebbero anche, ma non solo, iniziare a cercare di essere meno presenti nel commentare cruenti e clamorosi delitti e iniziare a creare qualche occasione in più per promuovere cultura ed informare su tematiche rilevanti quali la disabilità.

Conclusioni

Le varie leggi e le linee di condotta introdotte negli anni recenti per affrontare la disabilità e i diritti della persona disabile sono piene di aggiustamenti e clausole di esonero, che le rendono spesso del tutto inefficaci ed inapplicabili. La maggioranza delle persone con disabilità continua ad incontrare un'ampia serie di barriere economiche, politiche e culturali che spesso e volentieri, le rendono socialmente ed economicamente dipendenti dai loro familiari, amici e dalla società in generale, molto più di quanto sarebbe (in alcuni casi) necessario. Il perdurare in esistenza di tali forme di barriere serve solo ad inibire lo sviluppo morale, culturale ed economico degli Stati e della società umana nel suo complesso. Le questioni relative all’inclusione o all’esclusione delle persone disabili non possono essere disgiunte da quelle relative al processo complessivo di coesione o dissociazione sociale. Il modo in cui si giunge a creare riflessione sulla disabilità e si definiscono appartenenze e cittadinanze, determina politiche di integrazione o le dissolve. Siamo convinti che la psicologia possa dare un suo contributo in tal senso e debba impegnarsi nel facilitare la collettività e i singoli a prendere coscienza dei propri atteggiamenti nei confronti della disabilità, oltre che ad allontanarsi da un atteggiamento puramente pietistico o compassionevole. Se la disabilità fa parte di una struttura globale della persona, quest’ultima non può essere definita tale dalla sue mancanze, ma piuttosto da una struttura originale, che non dipende solo dall’obiettività della deficienza, ma deriva dal contesto e in particolare dagli atteggiamenti e dai comportamenti dell’ambiente. In questa prospettiva, in accordo con Gardou (2006) crediamo che siano necessarie tre condizioni e quindi tre direzioni verso cui far convergere l’immaginario collettivo: accettare la differenza senza radicalizzarla, rendersi conto dell’influenza esercitata dal proprio modo di vedere le identità delle persone con disabilità, ed infine, cercare di abbandonare i pregiudizi che ostacolano il loro riconoscimento. La  psicologia, assieme alle altre discipline, può avere una parte rilevante in una sorta di rivoluzione culturale nella percezione della disabilità e nella progettazione sociale (degli interventi, dei servizi e del sistema normativo), che comporti come risultato un maggiore spostamento del focus di attenzione dalle categorie alle persone.

Bibliografia

Barnes C., “Capire il modello sociale della disabilità”, in Intersticios, Revista Sociologica de Pensamento Crítico, ISSN 1887- 3898,  Vol.2(1) 2008.

Gardou C., (2006), “Diversità, vulnerabilità ed handicap”, Erickson, Trento.

Lynch C., (2004), "Psychotherapy for persons with mental retardation", Mental Retardation, 42, 399–405.

Maslow A.H., (1973), “Motivazione e personalità”, Astrolabio, Roma.

Maslow A.H., (1971), “Verso una psicologia dell'essere”, Astrolabio, Roma.

Meneghini R., Valtellina E., (2006), “Quale disabilità? Culture, modelli e processi di inclusione”, Franco Angeli, Milano.

Prout H. T., & Nowak-Drabik, K. M., (2003). "Psychotherapy with persons who have mental retardation: An evaluation of effectiveness". American Journal on Mental Retardation, 108, 82–93.

Shakespeare T., (1992), “Theorising disability: moving beyond the social model”, Social Policy Research Unit, University of York, York.

Sturmey P., (2005), “Against Psychoterapy with people who have mental Retardation” in Mental Retardation, vol.43, NO.1, pp.55-57.

Pubblicato il 02/03/2009 alle ore 17:56

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